Cieli stratificati: le città di confine
In alcuni dipinti si è visto che l’immagine del cielo scompare se soverchiata dal “regno della dimensione sottile” e lo sguardo è sommerso da un mare di forme in continuo evolversi o involversi.
Questa è la dimensione del cambiamento, del divenire di antiche e nuove incrostazioni incessantemente sciolte o mutate nel fluire di una sterminata libertà vigilata (rif. con l’opera “E vidi nuovi cieli”, già pubblicata).
Ma quando, da un punto di vista diverso, l’immagine del cielo torna a ricostituirsi come una pelle sul mondo sottile, allora è possibile accedere ad altri diversi modi interpretativi.
Sul cielo del primo strato, si è già visto che possono svilupparsi diverse tipologie di forme (nuvole, rocce ecc.) più o meno complesse e armoniche.
Lavorando nel contesto figurativo-simbolico appena accennato e solo successivamente, vi ho dipinto una città, secondo modalità formali che rimandano a miei ormai vecchi modi di “cristallizzazione” delle forme in quello che definirei simbolicamente uno schema geometrico-ordinatore archetipale.
Queste città (ognuno potrà vedervi eventuali trasposizioni macro o microcosmiche) consumano e digeriscono come in un pasto sacro, la materia sottile, mercuriale e instabile del primo strato, cristallizzandola appunto e moltiplicando se stesse.
La città avanza fino al limite, al confine con lo strato informale e qui di colpo s’arresta sull’abisso come muta e stupita: le direzioni dello spazio e il tempo sono riassorbiti in un punto dilatatosi oltre ogni confine e misura e l’effetto arretra verso la sua prima causa, unica isola nel mare sconfinato del Non-essere.
Ora, si potrebbe sviluppare oltremodo la simbologia di queste immagini imperfette, ma non è del disegnatore il troppo attardarsi o perdersi sulla parola scritta.