Per un’operatività rituale dell’arte
Nelle mie opere, la figurazione triripartita dell’uomo o del cosmo, è già stata affrontata attraverso la creazione di cieli a tre strati, uniti ma nello stesso tempo divisibili (secondo l’aspetto investigativo che via via viene affrontato). Su queste forme criptico-simboliche poggiano le successive illusorie modificazioni.
La “materia cromatica” scelta per la pittura è paragonabile in sè al Caos primordiale a cui l’Essere attinge dandogli forma e colore attraverso il “fiat lux” che è accostabile al pennello stesso (la sua forma verticale è come un raggio di luce mentre la punta sinuosa va accostata alla proprietà termica ”vitale” che spesso veniva anticamente raffigurata dipingendo il sole con raggi rettilinei e raggi appunto ondulati).
Quindi, ogni colore viene impiegato partendo dai due “non colori” cioè il bianco e il nero, coppia di contrari che però non cessano mai di contenersi l’un l’altro perché come nella luce più abbagliante è insita la tenebra, così anche nel buio più assoluto risplende una piccola luce. In questo è facile riferirsi alla figura dello Yin-Yang e ciò sia detto senza entrare oltre nella metafisica dell’Essere e del Non Essere; dell’Uno e dello Zero ecc.
Da questi due poli “fluisce” la manifestazione universale e quindi anche la creazione artistica che “fà imitando il prototipo cosmico”.
La luce definisce sei colori essenziali, sei prototipi di cui lo stesso arcobaleno appare formato (deve essere escluso l’indaco che non è che un’ulteriore variazione del viola verso il rosso) e i sei meditano e riposano incessantemente sul settimo (il bianco) da cui sono emanati e a cui ritornano.
Nel simbolismo legato alla raffigurazione della dimensione spaziale, il macrocosmo si distende indefinitivamente (in quanto il concetto di infinità è dovuto solo all’Assoluto e non alla Sua manifestazione cosmica) ai quattro punti cardinali, si innalza allo zenit e “sprofonda” al nadir; sei direzioni che come raggi sprigionano dalla settima centrale, raffigurabile come un sole, (rimando anche all’immagine di una mia composizione pittorica dal titolo “Trilogia”, senza entrare oltre nel merito della stessa) e per sua natura accostabile a “una porta stretta” alla dimora del Sè (non in senso psicologico, parodistico), fino a “un buio luminoso” in cui tutto, forme, colori e luce viene riassorbito.
Questo centro, questa settima direzione o colore è anche il settimo giorno della creazione biblica in cui Dio prese il Suo riposo.
L’operatività dell’arte è un atto conoscitivo, un rito che si realizza appieno solo nel diventare (operatore e opera) la cosa che si vuole dipingere; Dante nel Convivio afferma ” chi pinge figura / si non può esser lei non la può porre.”; ma in quell’attimo le distinzioni cessano, il molteplice è ricondotto all’uno e azzerato ogni limite tra conoscente e conosciuto: resta un’occhio, un vedere privo di durata e un visto privo di spazio.
Il linguaggio dell’arte è esclusivamente simbolico, ma se questo viene più o meno escluso, affiorano e soverchiano altri “valori”, siano essi decorativi, puramente formali, psicologici e sentimentali (naturalismo).
Afferma W. Blake “se lo spettatore penetrasse in queste immagini, accostarsi ad esse sul carro infuocato del pensiero contemplativo egli, ecco, si leverebbe dalla tomba, incontrerebbe il cielo…”.
Per essere efficace, l’arte deve colpire il suo bersaglio allo stesso modo dell’arco zen, dove l’arciere centra l’obiettivo senza prendere la mira; perchè il primo obiettivo è l’acquisizione di quella naturalezza che la tradizione taoista assegna all’Uomo vero o primordiale.
I costruttori di cattedrali espressero e perseguirono nell’arte edificatoria la via al loro tempio interiore e se l’uomo esprime bisogni corporali, psichici e spirituali, la ricerca artistica dovrà decidere a quali di questi bisogni asservirla e asservirsi.
Ma allora, se manca “la retta intenzione”, di quale arte si può parlare ormai, che non sia mera replica di un qualunque occasionale aspetto del mondo, visto attraverso l’impreciso filtro della propria petulante e incompresa individualità.